Alle volte, può capitare di imbattersi in consumatori o clienti sprovveduti che non conoscono l’effettivo significato dei principali acronimi o sigle, come IGT o IGP, incise sull’etichetta di una bottiglia di vino.
Specie per un non esperto del settore, infatti, è facile perdersi dietro all’infinità di sigle presenti.
Eppure, oltre ad essere un importante indice di garanzia e affidabilità, tali diciture servono a indicare l’esatta origine o tipologia di vino che si sta consumando.
Rivediamole bene insieme.
Principi di normativa italiana ed europea nella denominazione del vino
Quando parliamo di denominazione del vino, è bene ricordare che esistono ad oggi due sistemi da considerare: il sistema italiano e quello europeo.
Il sistema italiano, introdotto dalla Legge 164/1992, prevede ben quattro denominazioni: alla base, abbiamo i vini senza denominazione cosiddetti “da tavola” (VDT); al gradino superiore troviamo i vini IGT “Indicazione Geografica Tipica”, mentre, in cima, quelli DOC “Denominazione di Origine Controllata” e quelli DOCG “Denominazione di Origine Controllata e Garantita”.
A livello normativo, la legislazione europea con il Regolamento CE 479/2008, recepito in Italia mediante Decreto Legislativo 61/2010, ha provveduto a introdurre un ulteriore sistema di denominazione a cui fare riferimento.
Nel dettaglio, tale sistema ha permesso di facilitare e catalogare i vini suddividendoli in due macrocategorie principali: la prima riguarda i vini senza denominazione di origine, definiti per questo varietali o generici; la seconda comprende invece tutti quei vini che godono della denominazione di origine: quelli IGP “Indicazione Geografica Protetta” e DOP “Denominazione di Origine Protetta”. A livello normativo generale, dunque, la sigla DOP, introdotta dalla Comunità europea, riunisce sotto di sé, al vertice, sia i vini DOC che DOCG della classificazione italiana.
La denominazione del vino in Italia: IGT, DOC e DOCG
L’aspetto che più di tutti occorre considerare in tema di denominazione del vino è quello connesso ai suoi disciplinari di produzione.
Questi ultimi definiscono i precisi standard qualitativi di produzione, sia di imbottigliamento previsti per tutti i vini a denominazione di origine, DOC e IGT, così come quelli DOCG che, più pregiati, vengono sottoposti a controlli di qualità più stringenti.
A ogni sigla, corrisponde un preciso disciplinare, più o meno rigido, a seconda del livello di denominazione corrispondente, fatta eccezione per i vini generici e varietali la cui produzione non è soggetta ad alcun disciplinare o controllo ulteriore se non a quelli previsti a livello igienico-sanitario. Per questo motivo accade spessissimo che la dicitura “Vino da tavola” venga considerata (erroneamente) indice di scarsa qualità poiché sull’etichetta, per legge, viene riportato comunemente solo il colore del vino e non la sua annata o vitigno.
Per tutte le altre denominazioni a seguire, sono previsti invece controlli via via più severi.
La sigla IGT impressa su un’etichetta, ad esempio, garantisce al consumatore che il vino è prodotto in ampie zone geografiche caratteristiche del territorio italiano e per questo “tipiche”. I vini IGT sono regolamentati da un disciplinare semplice e meno rigido rispetto a quello previsto invece per le categorie DOC o DOCG.
I vini DOC sono regolamentati da disciplinari di produzione strutturati e, per questo, sottoposti a ulteriori controlli qualitativi. La sigla italiana DOC viene comunemente destinata a vini prodotti con uve coltivate in microaree o sottozone d’Italia, geograficamente molto più ristrette rispetto alle aree previste per la denominazione IGT. Anche la nostra regione, le Marche, possiede vini che hanno ottenuto il riconoscimento sia DOC che DOCG. Tra i DOC più famosi spiccano la Lacrima di Morro d’Alba e il Rosso Conero.
Arriviamo, infine, ai vini DOCG. Questi vini sono in genere regolamentati da disciplinari di produzione più restrittivi dal momento che queste tipologie di vini, oltre ad esser sottoposte a rigorosi controlli qualitativi, sono sottoposte ad attente e precise valutazioni sensoriali.
Integrando il sistema europeo di denominazione con quello italiano, la sigla DOP offre al consumatore un’elevata garanzia di origine e qualità del prodotto. Il disciplinare di produzione previsto infatti per i vini DOP è estremamente vincolante dato che, per ottenere tale riconoscimento, la loro produzione non solo prevede che le viti siano coltivate in precise microzone d’Italia come piccoli comuni, fattorie o frazioni, ma avvenga mediante precise modalità di produzione previste dagli stessi disciplinari.
Ad oggi l’Italia vanta, in totale, la bellezza di 341 vini DOC e 78 DOCG.
La denominazione del vino in Francia: Bordeaux, Borgogna e Champagne
Dopo l’Italia, la Francia, con i suoi 44,2 milioni di ettolitri, è il secondo Paese produttore di vino al mondo. Ad affermarlo è il report globale 2022 stilato dall’OIV, Organizzazione Internazionale della Vigna e del Vino.
Così come l’Italia, anche la Francia, terra dei grand vins, si contraddistingue per regioni e zone geografiche che godono di un’antichissima tradizione vitivinicola e non è un caso che Bordeaux assieme alla regione della Borgogna e all’antica provincia de la Champagne-Ardenne, da cui derivano gli omonimi vini, siano proprio tra queste.
I livelli di denominazione dei vini in Francia sono principalmente tre:
- AOC “Appellation d’Origine Contrôllée”: si tratta del livello qualitativo più alto. Tale sigla definisce l’origine geografica del vino, nonché la sua qualità. Corrisponde alla sigla italiana DOC. Anche in Francia, a seguito dell’integrazione della normativa europea, la sigla AOC ricade nella categoria europea dell’AOP “Appellation d’Origine Protégé”, l’equivalente della sigla DOP in Italia;
- Vin de Pays: si tratta invece di vini a denominazione di origine prodotti in vaste aree geografiche del territorio e che, per questo, devono rispettare un regime disciplinare più o meno rigido. È l’equivalente della sigla italiana IGT;
- Vin de France: anche detto “vin de table”, è un vino senza indicazione geografica e che non segue alcun disciplinare di produzione. Corrisponde al nostro vino “da tavola”.
In Francia, i vini classificati come AOC sono connessi alla specifica zona geografica del territorio in cui essi stessi sono prodotti: abbiamo così i vini AOC di Bordeaux, quelli AOC della Borgogna e infine lo Champagne AOC e così via.
I vini AOC di Bordeaux, nella loro tradizionale bottiglia bordolese, sono catalogati sulla base degli Châteaux, ossia dei singoli e storici produttori. Nel corso del tempo, infatti, i vini di Bordeaux sono stati classificati attraverso diversi sistemi. Il più storico, risalente al 1855, classifica in ordine decrescente 58 Châteaux in cinque livelli che vanno dalla Premier Cru al Cinquième Cru.
La classificazione qualitativa dei vini AOC della Borgogna avviene invece sulla base dei territoir di appartenenza dei singoli vigneti, ossia sulla qualità dell’uva. Questo sistema, a base piramidale, si articola perciò su quattro livelli: alla base troviamo gli AOC regionali, poi gli AOC comunali, a seguire i Premier Gran Cru e, al vertice, i Grand Cru fiore all’occhiello della produzione vitivinicola della zona.
Arriviamo infine allo Champagne prodotto esclusivamente nella regione de la Champagne-Ardenne, territorio a cui questo particolare vino deve il proprio nome.
La dicitura Champagne presente sull’etichetta identifica la denominazione AOC di questo vino e, proprio perché gode di denominazione di origine controllata, la sua produzione prevede il rispetto di un rigido e severo disciplinare.
È possibile classificare gli Champagne in diverse categorie in base alle uve utilizzate, sia a seconda della particolare tecnica di produzione impiegata nella realizzazione.
Gli Champagne “tradizionali”, categoria in cui rientrano grossomodo la maggior parte degli Champagne, sono prodotti con tutte e tre le tipologie di uva riconosciute dal disciplinare, ovvero Chardonnay, Pinot Nero e Pinot Meunier.
Alcune delle diciture obbligatorie che identificano uno Champagne sono: la denominazione di origine controllata “Champagne”, il titolo alcolometrico indicato in vol.%, il volume nominale in l, cl o ml, la marca dello Champagne, il nome dell’elaboratore, il comune in cui ha sede sociale, il numero identificativo del lotto di produzione e la menzione “Produit de France”.
Come abbiamo visto, saper riconoscere e interpretare nel modo corretto le sigle incise sulle etichette dei prodotti vitivinicoli, è fondamentale non solo per identificare l’origine e la tipologia di vino specifica che si sta degustando ma, soprattutto, poiché si tratta di diciture che riconoscono e difendono in tutto il mondo la tradizione, l’unicità e la qualità di tali prodotti.